a cura di Stefania Magnifico

La chiamano Pandemic fatigue la stanchezza da pandemia che affligge tutti noi, chi più chi meno. Una sensazione di depressione, di eterno limbo dal quale non si sa come e quando se ne uscirà.

Quali sono i sentimenti più frequenti?

Il contesto lo conosciamo bene: impennate di contagi, zone rosse-giallo-arancioni, restrizioni, limitazioni e, non in coda di importanza, il tanto famigerato: distanziamento sociale. Gli psichiatri trovano pazienti sempre più rinunciatari e passivi, in un clima di depressione e di impotenza. Il contesto è nuovo per tutti, se il virus è inteso come un nemico da combattere, questo nemico è invisibile e potrebbe essere in agguato in modo costante. Ma non è solo il virus a farci paura, bensì un contesto sociale e politico che, tutti dicono, non tornerà mai ad essere lo stesso di prima.

Incertezza: la fonte di tutti i mali odierni

I giovani di oggi la conoscono bene e forse, più di tutti, sono abituati a conviverci. L’incertezza per chi la vive da poco è la ragione che fa perdere il senso delle cose, senza progettualità e con un futuro da ridisegnare, lo smarrimento è dietro l’angolo. I punti fermi vacillano e le coordinate sulle quali abbiamo impostato la nostra vita sembrano svanire magicamente e non si ha evidenza di come si ridisegneranno. La paura è poi alimentata da notizie che riportano tutto e il contrario di tutto, ci confondono e minano ogni tipo di sicurezza. Se abbiamo sempre contato su politica e informazione, oggi sembrano diventati nemici al pari del virus che stiamo combattendo.

Fobia sociale: la componente psicologica con la quale convivere

Da alcuni mesi a questa parte, soprattutto in seguito alla fase del Lockdown teso a marginare la diffusione del Covid19, viviamo in una società profondamente cambiata, radicalmente trasformata.

Le persone intorno a noi sono diverse rispetto a prima, più vulnerabili e insicure. Questi i primi aspetti che appaiono in superficie, aspetti che però sono già noti alla maggioranza di noi. Ma andiamo in profondità e cerchiamo di capire cosa stia realmente accadendo.

Cosa si intende per fobia sociale?

Se partiamo dall’etimologia del termine fobia troviamo alcuni sinonimi associati ad esso che ben rendono l’idea di ciò che molte persone stanno sperimentando, ovvero:

questi sentimenti (palesemente negativi) sono relativi a cose e persone: le persone perché si teme possano essere potenzialmente infette e le cose (oggetti, maniglie, parti comuni ecc.), anche. Partendo da questi presupposti è chiaro come il contesto sociale attuale rischi di divenire terreno fertile per particolari disturbi nevrotici, quali ad esempio il disturbo ossessivo compulsivo o il disturbo post traumatico da stress.

Lo stress emotivo frutto di questi mesi è provocato infatti da un vero e proprio trauma. Nello specifico infatti:

vengono vissuti come tale.

Non è raro inoltre che ansia e panico sfocino rapidamente in agorafobia. Si crea quindi un circolo vizioso di causa ed effetto che porta i primi attacchi di ansia e panico a svilupparsi in uno stato d’ansia perenne e permanente. Interessante vedere come questi mesi abbiano creato due spettri particolari di angoscia:

due paure apparentemente opposte che sono lati della stessa medaglia. Alcune persone sperimentano entrambe le emozioni citate, in altri casi invece si sperimenta una sola delle due. Non è sano vivere con queste paure! Una vita sana, al contrario, è fatta di:

Un percorso di psicoterapia potrebbe essere un’ottima occasione per aiutarsi ad affrontare non soltanto questa selva impervia di periodo post-Covid19, ma la selva ancor più complessa e gloriosa della propria esistenza.

Eterna nella sua espressione, la morte è incessante in tutta la storia dell’umanità e trova la sua massima espressione nel concetto di guerra. Un vissuto che si ripropone ora, dopo la paura e l’angoscia sperimentate in due anni di pandemia.

Accanto alla paura, si fa strada anche in questa circostanza un vissuto di impotenza, un’altra condizione che ci ferisce perché anch’essa presuppone l’impossibilità a compiere un’azione, a difendersi e la conseguente sottomissione a qualcuno o qualcosa. Paura e impotenza generano stati d’animo di grande sofferenza, la quale, a sua volta, è foriera di patologie quotidiane avanzate dall’individuo come strumenti difensivi atti alla sopravvivenza dello stesso.

Disagio, ansia, depressione paura sono i principali stati ai quali tutti noi siamo esposti, da oltre due anni a causa dell’incertezza scatenata dall’evento pandemico e da dove vengono elicitate patologie: disturbi del sonno, dell’alimentazione, delle relazioni.

Quando tutto intorno a noi esplode e lascia solo devastazione, questa entra nei nostri corpi come fossero piccole schegge capaci di generare grande dolore e l’impotenza ci atterrisce. Scene di esplosioni, assalti, spari, boati, botti, tutti elementi distruttivi che appartengono alla semantica bellica e che in egual misura entrano nel cervello e si legano al concetto di morte.

La guerra è fuori ma anche dentro di noi E allora che fare davanti ad una guerra che non è solo là, come se “là” rappresentasse per noi qui, il sopravvivere. La guerra è intorno a noi, in noi. Ogni nostro conflitto interiore è guerra. Guerra tra le parti, tra noi stessi, tra noi ed il mondo.

Giovani che esplodono la propria rabbia, violenza nei confronti dell’altro, del vicino, del simile o del diverso. Intolleranza, avidità, cattiveria … che fare? Come affrontare le emozioni negative?

Abbiamo un unico strumento che certo non risolve ma aiuta a gestire i nostri stati interni. La parola. Parlare con l’altro significa insegnare ma anche apprendere, sapere, conoscere e la conoscenza rende tutto più accettabile, digeribile, semplice.

Il Condividere con l’altro, persino laggiù dove non c’è più parola ma botti, ci permette di alleggerirci e l’accettazione delle nostre paure attraverso un rispecchiamento emotivo tramite l’altro che vive le stesse nostre emozioni dolorose, possiamo riprendere a vivere, ad essere vivi.

In tempi di pandemia mancano molte cose tra cui gli affetti, il lavoro, ma soprattutto: la libertà. Ma cos’è la libertà?

Lo approfondiamo in questo articolo.

Tra quotidianità e disorientamento

Le istituzioni sono state ideate dall’uomo per autocodificare se stesso e la propria natura; oggi queste istituzioni ci danno regole ferree che limitano, a causa della pandemia in corso, la nostra vita, la nostra libertà. Le restrizioni non terminano e le persone, bombardate da notizie ansiogene, tengono alta l’allerta con ripercussioni fisiche, psicologiche ed emotive.

Sul piano psicologico i disagi sono gli stessi da un anno, con l’aggravarsi di un senso di indeterminatezza sulla conclusione di questo momento. L’aumento di casi di suicidio, omicidio e violenza, sono sempre più fuori controllo.

Nella quotidianità sono aumentati i casi di:

Si parla spesso dello stato psicologico dei ragazzi ma, gli adulti e soprattutto gli anziani, non sono esenti da casi patologici a livello psicologico.

Paura del presente e del futuro

Il procrastinarsi della situazione d’emergenza crea una paura sociale capillare, molti stili di vita sono cambiati ma purtroppo ancora non sappiamo quale sarà il nostro futuro riguardo questa situazione. La fobia sociale è diventata routine e si è impossessata di moltissime persone. Questa fobia ci riporta qualcosa di molto diverso dal vivere naturale dell’essere umano. Soprattutto dobbiamo tener presente che in un prossimo futuro, se non già da ora, i crolli psicologici dati dal vissuto di morti, abbandoni e distacchi, saranno complessi da smaltire e rielaborare.

Sono ormai molteplici i casi di suicidio registrati dall’inizio della pandemia da Covid19. I dati sono sempre più allarmanti e riguardano purtroppo, vari target di persone.

Dall’imprenditore sommerso dai debiti al giovane studente in preda all’angoscia, il ventaglio è ampio e i mesi che stiamo vivendo si portano dietro sfumature emotive sempre più nere con dati clinici allarmanti. Raccontano di centinaia di persone e, se pensiamo ai dati sommersi, il dato potrebbe essere maggiore. La responsabilità del virus è ovviamente indiretta per la maggior parte dei casi e riporta un disagio che cresce tra habitat quotidiano e mura domestiche.

Suicidi in tempo di Covid: di chi è la responsabilità?

Non è il caso di puntare il dito su enti e settori ma, sicuramente, il tono allarmistico utilizzato da molti media non aiuta il sentimento della popolazione. Per quanto riguarda il Governo invece, si può notare una rilevante mancanza di attenzione rispetto a questo tema importante e delicato. Possiamo oltretutto constatare che il disagio mentale ha ormai raggiunto migliaia di persone. Dalla tanto citata sindrome della capanna a disturbi ancora più gravi, le problematiche sul piano psicologico hanno, in un modo o nell’altro, toccato ognuno di noi.

Campanelli d’allarme: come riconoscerli

Consapevoli che dare un elenco di sintomi, per quanto riguarda l’intenzione di voler porre fine alla propria esistenza, possa essere superficiale e riduttivo, elenchiamo comunque alcuni aspetti che, se protratti nel tempo, potrebbero agire da campanelli d’allarme da non trascurare. Notiamo quindi se la persona in questione:

Non è semplice monitorare o prevedere un comportamento umano, ma la psiche rimane pur sempre un luogo importante di cui prendersi cura.

Ascoltando alcuni reportage di radio e televisioni viene spesso da chiedersi se le persone, dopo i mesi importanti della pandemia, siano cambiate oppure no. Durante le interviste che quotidianamente vengono trasmesse, le domande poste ai passanti vertono sul solito fulcro, ovvero: “la gente è migliorata?”. Escludendo molte risposte di persone fermamente convinte che la gente sia la stessa se non addirittura peggiorata, poniamo l’attenzione sui presunti “miglioramenti” personali.

Siamo migliorati: in cosa?

Come si evince dall’ascolto delle risposte forse qualcosa dentro le persone è cambiato, sia esso:

il sentimento

il carattere

il soggettivo di ciascuno

Siamo abituati a notare molto velocemente i risvolti negativi di una data vicenda ma quando è in atto un cambiamento epocale come quello che la nostra società sta vivendo ora, non possiamo non soffermarci anche sulla crescita che ne deriva a livello collettivo.

 

La frase che spesso si sente ripetere, soprattutto dalle nuove generazioni è :”alcune cose non le diamo più per scontate come prima, come i rapporti all’interno della famiglia o la ricchezza dell’amicizia“. Ma c’è anche un aspetto forse più sociologico sul quale vorremmo soffermarci: alcune persone sono riuscite in questo tempo che il Covid ha messo in stand by a guardarsi dentro, cercando di capire qualcosa di sé. Non sono rare infatti le persone che in questi ultimi mesi hanno deciso di cambiare vita. Il tempo messo forzatamente a disposizione, in qualche modo sospeso, è riuscito in alcuni casi a ribaltare le prospettive e le priorità di molti. Questo momento è il contesto ideale per iniziare davvero dei percorsi di crescita interiore a partire dalle domande più semplici:

Questo è per molti l’inizio di un percorso che, per dirla con Nietzsche, potrebbe eliminare il superfluo fino all’arrivo verso la propria essenza e farci camminare su una strada che è davvero la nostra, ma: come riconoscerla?

Come capire qual è davvero il nostro desiderio

Se ti interessa l’argomento, seguici nei prossimi articoli.

In questi ultimi mesi, durante la fase 2 dell’emergenza Covid19, la fascia giovane del paese è stata presa di mira come non mai. Ad essa più di tutte si è addossata la colpa, o per meglio dire, la responsabilità della crescita di focolai del virus, legata al fatto che i giovani, “irresponsabili” appunto, non sempre sono stati ligi alle regole comportamentali adottate per la prevenzione della diffusione del virus.

Il distanziamento che ci è stato imposto è chiaramente fisico ma anche sociale, non a caso è denominato distanziamento sociale.

Il distanziamento “sociale” visto con gli occhi di una giovane vita

La consapevolezza è genericamente nota come appartenente agli adulti e la saggezza alle persone più anziane ma, per un giovane uomo o una giovane donna, ancora in fase di crescita, quanto può essere duro vivere una realtà come quella odierna? Sicuramente la risposta dovrebbe giungerci da loro ma, il fare accusatorio di molti mass media e politici  è stato forse unilateralmente poco aperto alla comprensione. Per comprensione non si vuol affatto intendere cieca tolleranza ma il tentativo di cercare, attraverso l’ascolto, di capire anche il punto di vista di qualcuno che, a differenza di persone più adulte, sta vivendo per la prima volta come tutti, questa metamorfosi sociale.

Quando pensiamo agli adolescenti ci vengono in mente alcuni comportamenti più frequenti.

Prendiamo ad esempio il bacio:

Comunicazione per eccellenza dei giovani innamorati; filosofi, psicologi e poeti si sono sprecati a raccontarne. Il bacio è il suggello dell’affettività ma purtroppo oggi notiamo come, insieme al bacio, siano saltati tutti i suggelli affettivi e sociali come ad esempio:

Come può vivere un adolescente, abituato alla fisicità, questo distanziamento imposto?

Sono davvero solo superficiali, irresponsabili o stanno vivendo anche loro questa drammatica esperienza cercando di darsi delle risposte?

Non si è affatto trattato di chiedere ai giovani di rimanere sul divano e non uscire, purtroppo non è limitato a quello. Si sta chiedendo loro di vivere questa fase già delicata della vita come nessuno delle generazioni precedenti ha fatto. Le affermazioni come: “I loro bisnonni sono andati in guerra, invece a loro si chiede solo di stare a casa” forse iniziano ad essere riduttive e a non farci intendere il peso dell’intera questione.

Per citare ad esempio lo psicologo Massimo Recalcati: “magari fosse una guerra, almeno potremmo distinguere con chiarezza l’amico dal nemico; la metafora della guerra è fin troppo rassicurante..”

La verità è che si sta chiedendo loro di vivere e sopravvivere, come tutti noi, ad un trauma.

 

 

 

La rete e l’informazione ci inondano da mesi di innumerevoli notizie, spesso non molto confortanti, rispetto le misure da adottare per arginare il rischio di contagio da Covid19.

La possibilità attuale di avere accesso ad un’informazione continua rispetto:

rende in un certo senso più semplice la vita ma, dall’altra parte, ci trasforma in bersaglio di svariati aggiornamenti che non sempre sono frutto di una nostra personale ricerca.

L’importanza di prendersi delle pause

L’estate appena terminata ha fortunatamente contribuito a far nascere in molti di noi una sana esigenza di “staccare la spina”, non soltanto dalla solita routine ma, in questo particolare e difficile anno, dall’esperienza dell’emergenza sanitaria in corso e dal correlato contesto.

Molte persone hanno infatti scelto di calibrare le proprie letture sulle news informative, cercando di estrapolare solo lo stretto necessario senza farsi inondare da un sovraffollamento di informazioni che rischierebbe di generare:

ansia

angoscia

attacchi di panico

disturbi psicosomatici

Attenzione alle immagini shock

Le recenti foto di insegnanti bardate da capo a piedi per accogliere gli alunni all’approssimarsi del nuovo anno scolastico sono, per fare un esempio, fonte di sgomento e di ansia per la popolazione. Nonostante la pluralità di canali di informazione a disposizione non riusciamo, in qualità di cittadini e di utenti, ad avere una panoramica chiara e trasparente sulla questione Covid19 e su cosa ci aspetterà nel prossimo futuro.

Essere in grado di rimettersi al centro

Giornali, media e televisioni hanno ovviamente come focus l’attuale pandemia. In particolar modo nella passata fase di Lockdown la rete Internet è stata il fulcro di:

contatti

informazione

comunicazione

questo però ha spesso rischiato di:

Come uscirne?

Come in tutte le cose, la giusta misura è la via più sana! L’essere umano non è programmato per subire imposizioni senza poter scegliere e pensare anzi, nella sua evoluzione egli ha il compito di mettersi al centro della propria individualità e riprendere in mano la sua vita anche nei momenti più tragici e inaspettati. E’ così che, molte persone tra professionisti e non, hanno dato l’esempio prendendo in mano le redini della propria esistenza con consapevolezza e coraggio.

 

 

 

Ogni malattia è, oltre che un cambiamento che impatta sul fisico, un’esperienza umana e sociale. Questa pandemia ne è un esempio. Anche quando non ci tocca da vicino (non contagia il nostro ambiente familiare) è parte, a livello più ampio, della nostra esperienza di vita.

covid ricostruire una sintonia

Un tuffo nel passato

Si dice che un tempo l’uomo avesse meno necessità di ricorrere all’aiuto psicologico per diverse motivazioni. Una di queste, forse la più importante, è data dal vissuto passato di un’esistenza più semplice e più vicina all’uomo stesso.

Cosa intendiamo per esistenza semplice?

Un’esistenza semplice e vicina all’uomo presuppone che lo stesso viva di bisogni e fabbisogni in linea con le sue necessità e si applichi, senza troppe pressioni, al lavoro quotidiano. Si parla infatti di sintonia con l’ambiente quando viene a crearsi il giusto combaciare tra bisogni dell’uomo e realtà circostanziali.

A questo riguardo sono importanti:

Tutti sappiamo come questo tipo di realtà sia molto dissimile da quella che ogni giorno viviamo. L’angoscia diffusa e il senso perenne di instabilità dei nostri tempi non sono certamente lo scenario ideale per combattere, a livello psicologico, la terribile esperienza della diffusione pandemica del virus. Il Covid 19 è un virus, spesso pericoloso, che è arrivato a scalfire proprio questa mancata sintonia. Non eravamo pronti a vivere questo genere di tragica esperienza, non solo dal punto di vista medico o economico ma nemmeno dal punto di vista psicologico. Mancando una struttura psichica solida nella nostra società ecco che un’emergenza- come è appunto un’epidemia globale- riesce a far vacillare esistenze che, evidentemente già da prima, erano poggiate su basi incerte. Ci si trova quindi a vivere con nuove insicurezze e fragilità.

Un percorso psicologico serve proprio a restituire all’individuo le certezze perse e le basi sulle quali ricostruire la sua personale storia di vita.

disturbi-sonno-alimentazioneUna vera e propria pandemia, secondo lo psichiatra Michele Rugo, può essere definita la diffusione dei malesseri legati al cibo. Il rapporto patologico con l’alimentazione viene oggi considerato frutto di uno squilibrio mentale per cui è la psichiatria che si fa carico di questi pazienti.

Un tempo erano soprattutto le giovani rampolle di famiglie bene che sfogavano nel cibo il loro malessere e la voglia di imporre una silhouette perfetta per non sfigurare.

 

Oggi, la cultura dell’immagine si è talmente estesa e generalizzata che vittime dell’immagine si trovano in ogni ceto sociale, in ogni età, in ogni cultura: « Si comincia da adolescenti – spiega la responsabile del progetto di Todi e supervisore clinico di Villa Mira Lago Laura Dalla Ragione – e l’età si abbassa sempre più: ci sono anche casi di ragazzine di 12 anni e persino di otto. Ma abbiamo anche pazienti di 40 e 50’anni, magari recidive o casi tardivi».
Dall’anoressia, in genere, si guarisce in maniera definitiva: quando si ritrova l’equilibrio, si ricomincia a mangiare e il rapporto con il cibo diventa stabile.

Possono capitare ricadute, invece, con i bulimici, persone che si lasciano andare ad eccessi ma che subito dopo si chiudono in bagno per rimettere tutto: in questi casi l’inquietudine che porta alla fame e al conseguente senso di colpa può ripresentarsi davanti allo stress di scelte difficili.
La nuova frontiera del disturbo alimentare, però, è rappresentato da una voracità smodata ed eccessiva a cui non segue senso di colpa e, quindi, l’espulsione volontaria del cibo ingerito: «Stiamo parlando di persone che sono colte da improvviso e irrefrenabile desiderio di cibo – spiega la dottoressa Dalla Ragione – Arrivano a ingerire anche 30.000 calorie, circa otto colombe pasquali in un sol colpo.
È un bisogno che non si riesce a contenere: si svuota la dispensa e, in mancanza, si passa al congelatore, ingurgitando cibi ancora surgelati, o il cibo per animali e persino i rifiuti.
Solo dopo aver ingerito una gran quantità di alimenti si placa l’ansia che si accompagna alla vergogna per un gesto che si riconosce anomalo. Questa è una malattia grave perchè può portare alla rottura dello stomaco».

Anche in questo caso, la terapia fa leva sulla psiche e sul bisogno smodato di cibo: la terapia si basa sullo stesso principio della disintossicazione dalla droga perché entrambe le situazioni si fondano sul principio dell’assuefazione.

Psicologa Psicoterapeuta Milano

Dott.ssa Daniela Grazioli

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