Nella depressione clinica o patologica il lavoro del lutto è assente, c’è invece il rifiuto di accettare la perdita, perdita che riempie di sé la vita del soggetto e diventa la sua unica realtà. Nella depressione clinica siamo di fronte a una strenua resistenza inconscia a separarsi dall’oggetto perduto e a quanto di noi, andandosene, si è portato via.
La conseguenza è che la perdita è sempre presente, anzi è l’unico “presente”, nulla cambia, non la disperazione e la sofferenza che non danno tregua , non i pensieri o le parole che infaticabili ruotano intorno alla perdita e al dolore che infierisce.
Il tempo si ferma e la vita si fissa al momento della perdita, niente deve cambiare. Ciò è particolarmente evidente quando la perdita è quella di una persona cara: si conservano i vestiti nell’armadio, il libro sul comodino, niente viene tolto o spostato, ogni cosa deve continuare ad evocare la sua presenza/ assenza.
Nella depressione patologica non viene fatto il lavoro del lutto che è la dolorosa e faticosa ricostruzione di sé e della propria vita, l’accettazione della propria vulnerabilità e mancanza. Tale lavoro ha lo scopo di restituirci la nostra capacità di desiderare e quindi di rimetterci in gioco, anche dopo che la perdita subita ci ha rivelato quanto sia fragile e precaria la soddisfazione del nostro desiderio e quanto facilmente si possa incontrare l’avvilimento e la mortificazione di sé.
Non si può fare, perchè è impedito dall’ossessiva fissazione del depresso all’istante della perdita di ciò che amava, che scomparendo, si porta via anche il suo desiderio, in altre parole ildepresso non può desiderare altro che ciò che ha perso.
La perdita non è necessariamente quella di un amore o di una persona cara, può essere la perdita di un lavoro, di uno status, di una casa, di una qualunque cosa da noi investita di un particolare e importante significato.
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