Il dolore di un incontro

Il racconto di un paziente

 

 

picasso-due-donne-sedute-in-un-bar-1902E’ molto tempo che non scrivo. E’ come se non riuscissi più a mettere in parola i personaggi che fino ad ora hanno accompagnato la mia esistenza.
Riuscivo a vedere ogni cosa nella meraviglia del momento. Era tutta una favola, anche la situazione più decadente. Invece adesso è come se tutto si fosse rivelato per quello che è, nell’evidenza contingente del vivere.

 

 

Da quando prendo questi tranquillanti il mio corpo è cambiato, si è modificato. Certe volte penso di avere ogni cosa sotto un controllo fatto di respiri regolari, di sonni tranquilli. Non c’è più quella pena che uccideva le mie giornate, le rendeva strazianti di esistenza.

 

 

Eppure ogni volta che incontro mia madre ogni cosa cessa. Il tempo si arresta. Diventa un momento assoluto in cui il dolore si rifà presente.

 

 

Le mie emozioni si bloccano in quell’istante. Di fronte ai suoi occhi che non riescono a guardarmi. Non riescono a capire nulla di me. Mi sento milioni di anni luce distante da lei, dal suo corpo. Dal suo essere madre. Dal suo avermi messa al mondo. Tutta quella storia del cordone ombelicale, della visceralità non riesco proprio a provarla.
Mi sembra un alieno. Più estranea degli estranei che incontro per strada, provo la stessa soggezione. Come se fossi di fronte a qualcuno che non conosco e che nemmeno voglio conoscere.

 

 

Sento la sua pena, autoriferita al suo ruolo. Al suo bisogno di essere “madre” riconosciuta dall’universo. Riesco a percepire tutti i suoi pensieri, i giudizi delle sue amiche, il paragone con i figli delle altre. Riesco ad immaginare anche il suo tormento. Il perché io non sono come dovrei essere. Perché sono una stronza insensibile. Riesco a capire tutto, eppure il mio corpo la rifiuta. La allontana come se fosse inumana. Un ologramma, fatto di frasi già sentite milioni di volte. I suoi commenti non hanno mai aderenza con quello di cui sto parlando.

 

 

Questo pomeriggio ero contenta. Una sensazione di felicità si era impossessata del mio corpo. Ero contenta per le parole gentili di una sconosciuta che mi diceva quanto fosse scritta bene la mia recensione. Sono contenta quando vedo lo sguardo della poetessa Milli che mi sorride. Mi toccano da vicino come carezze reali. Credo a quello che mi dicono, alle cose che forse vogliono o meno trasmettermi.

 

 

Eppure a mia madre non credo. Non riesco a credere alle sue parole troppo labili. Ai suoi giudizi che cambiano costantemente. Non le credo e mi viene da piangere. Avrei voluto dirglielo: mamma, hanno detto che sono brava. Avrei voluto dirglielo.

 

 

Invece appena ho aperto la porta della sua macchina mi ha inondata di doveri, di rimproveri sulle mie chiamate che mancano, sulla colpa che ho verso mio padre. Colpa. Solo colpe. Mai niente di bello. Mi è venuta l’ansia in un momento. Mi girava la testa e non riuscivo più a parlare. Ho cercato di dirglielo ugualmente, ma non aveva la stessa bellezza che mi ero immaginata prima di vederla. Non aveva nessun valore.

 

 

Era come avere buttato delle parole all’aria. Era come dirle che mi ero comprata un altro vestito. Come dirle che avrei cucinato del pesce per cena. Non aveva alcun senso. Tutto ha preso la solita piega penosa. I discorsi si sono fatti poco alla volta rumori sordi. Ho cercato di ritrovare il filo delle apparenze per cercare di nascondere il mio dolore che poteva anche uccidermi in quel momento.

 

 

Mio padre non mi parla. Eppure lui lo sento attaccato alla mia pelle, con le sue unghie che graffiano. Con i suoi giudizi che uccidono. Ma nel mio corpo vedo il suo. Lo sento come se fosse lui mia madre. Io gli credo. Credo quando mi dice che faccio schifo, che sono peggio di ogni altra cosa al mondo. Credo al suo sguardo. Forse credo anche di più al suo dolore.
Adesso vorrei piangere per molto tempo. Riuscire a capire questo dolore di sentirmi sola nel mondo. Riuscire a colmarlo. Riuscire a trovare di nuovo la forza che la loro presenza mi toglie. Vorrei riuscire a dimenticarmi di tutto quanto. Rinascere nuovamente, essere più coraggiosa. Essere migliore come essere umano. Vorrei riuscire a perdonare e sentire il loro corpo vicino al mio.

Almeno una volta.



Psicologa Psicoterapeuta Milano

Dott.ssa Daniela Grazioli

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