In questi ultimi mesi, durante la fase 2 dell’emergenza Covid19, la fascia giovane del paese è stata presa di mira come non mai. Ad essa più di tutte si è addossata la colpa, o per meglio dire, la responsabilità della crescita di focolai del virus, legata al fatto che i giovani, “irresponsabili” appunto, non sempre sono stati ligi alle regole comportamentali adottate per la prevenzione della diffusione del virus.
Il distanziamento che ci è stato imposto è chiaramente fisico ma anche sociale, non a caso è denominato distanziamento sociale.
Il distanziamento “sociale” visto con gli occhi di una giovane vita
La consapevolezza è genericamente nota come appartenente agli adulti e la saggezza alle persone più anziane ma, per un giovane uomo o una giovane donna, ancora in fase di crescita, quanto può essere duro vivere una realtà come quella odierna? Sicuramente la risposta dovrebbe giungerci da loro ma, il fare accusatorio di molti mass media e politici è stato forse unilateralmente poco aperto alla comprensione. Per comprensione non si vuol affatto intendere cieca tolleranza ma il tentativo di cercare, attraverso l’ascolto, di capire anche il punto di vista di qualcuno che, a differenza di persone più adulte, sta vivendo per la prima volta come tutti, questa metamorfosi sociale.
Quando pensiamo agli adolescenti ci vengono in mente alcuni comportamenti più frequenti.
Prendiamo ad esempio il bacio:
Comunicazione per eccellenza dei giovani innamorati; filosofi, psicologi e poeti si sono sprecati a raccontarne. Il bacio è il suggello dell’affettività ma purtroppo oggi notiamo come, insieme al bacio, siano saltati tutti i suggelli affettivi e sociali come ad esempio:
strette di mano
abbracci fraterni
pacche sulle spalle
baci sulla guancia
Come può vivere un adolescente, abituato alla fisicità, questo distanziamento imposto?
Sono davvero solo superficiali, irresponsabili o stanno vivendo anche loro questa drammatica esperienza cercando di darsi delle risposte?
Non si è affatto trattato di chiedere ai giovani di rimanere sul divano e non uscire, purtroppo non è limitato a quello. Si sta chiedendo loro di vivere questa fase già delicata della vita come nessuno delle generazioni precedenti ha fatto. Le affermazioni come: “I loro bisnonni sono andati in guerra, invece a loro si chiede solo di stare a casa” forse iniziano ad essere riduttive e a non farci intendere il peso dell’intera questione.
Per citare ad esempio lo psicologo Massimo Recalcati: “magari fosse una guerra, almeno potremmo distinguere con chiarezza l’amico dal nemico; la metafora della guerra è fin troppo rassicurante..”
La verità è che si sta chiedendo loro di vivere e sopravvivere, come tutti noi, ad un trauma.
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