La donna invisibile

url7Il racconto di un paziente

 

 

Sono nata due volte. La prima anagraficamente, come molti, circa 35 anni fa; la seconda più recentemente quando ho smesso di indossare gli abiti di una donna invisibile. Il problema non era essere invisibile agli occhi degli altri. Anzi per gli altri sono sempre stata l’amica affidabile, la figlia diligente, la fidanzata accondiscendente. Sono sempre stata invisibile a me stessa.

 

 

Non mi guardavo nello specchio perché non trovavo in me nulla di bello, non parlavo con gli estranei perché non avevo nulla di interessante da dire, non telefonavo alle mie amiche perché non avevo nulla da condividere. Almeno così ho sempre creduto. E più passava il tempo e più tutto ciò che accadeva non faceva altro che confermare il mio pensiero.

 

 

“Io non esisto” solevo ripetermi. Non esisto per mio padre, che non ascolta ciò che dico, non esisto per le mie amiche che mi chiamano per compassione, non esisto per il mio ex-fidanzato che mi ha dimenticato velocemente.

 

 

E’ stato faticoso, doloroso e non sapevo proprio da dove iniziare. Ho pianto tanto, vedevo passare davanti ai miei occhi la vita e non riuscivo ad afferrarla, sentivo dentro di me una zavorra, che mi impediva qualsiasi gesto. Ero immobile, pietrificata da tutto.

 

 

Il crollo totale è arrivato nel momento in cui ho conosciuto un ragazzo, un collega, che mi ha corteggiata insistentemente per un po’ di tempo e che poi non mi ha voluto più. Mi ha buttato via come una scarpa vecchia. E io non sapevo far altro che rincorrerlo e più lo rincorrevo e più mi sentivo vuota. Nel momento in cui questa persona aveva iniziato a interessarsi a me, mi aveva dato la speranza di essere tornata alla luce, di essere vista, ma poi quando il sipario è calato è tornato il buio, il vuoto, il silenzio, l’invisibilità.

Lo rincorrevo per essere visibile, ma ogni suo rifiuto mi faceva precipitare sempre di più nell’anonimato. Era tutto così insopportabile, era una spirale che aveva iniziato a soffocarmi.

 

 

E allora ho fatto una cosa. Ho scritto un’e-mail. Ancora una volta era meglio rifugiarsi dietro una fredda e sterile comunicazione elettronica. Ancora una volta potevo restare invisibile. E poi è iniziato il mio percorso. Lì ho capito che non dovevano essere gli altri a dare un senso alla mia esistenza. Dovevo essere io. Certo, facile a dirsi, ma chi sono io?

 

 

Una piccola anima fragile, incespicante, timorosa di tutto e di tutti. C’è voluto del tempo prima che tirassi fuori le ferite più profonde, che iniziassi a prendermi cura di me. C’è voluto impegno, costanza, a volte ho sentito di fare passi indietro, di traballare, che era troppo quello che stavo chiedendo a me stessa, invece ho macinato chilometri di asfalto dentro di me. Mi sono guardata dentro con occhi diversi.

 

 

E poi un giorno l’ho fatto. Ho preso uno specchio e mi sono vista. Per la prima volta. Ho guardato i miei occhi e ho capito di che colore sono. Ho guardato le mie rughette di espressione, e ci ho visto tutte le lacrime e le risa che vi erano passate. Ho accarezzato la mia guancia e ho sentito il calore che trasmetteva.

 

 

E dal quel momento non ho più avuto paura di guardarmi. Nel momento in cui ti riveli a te stesso, nel momento in cui decidi di toglierti gli occhiali deformati con cui guardi al mondo, tutto assume una connotazione differente.

Ho imparato che il mare è bello sia quando lo si guarda dalla terraferma, ma anche da una barca in mezzo al mare.
Ho scoperto che gli altri non possono farti del male, se tu non glielo permetti. Ho scoperto che c’è in me una grande forza e un grande coraggio.

 

 

Ho imparato a dire di no, senza vergognarmene.
Ho scoperto che esistono delle stagioni, nella vita, nella natura, nel mondo.

Ho scoperto che non è una catastrofe non ricordarsi una cosa.

Ho imparato a dire “non me lo ricordo”, “non lo so” e “puoi aiutarmi”.

Ho scoperto che è bello giocare, anche se non si più adolescenti. Che non ci sono leggi di compensazione per cui siccome sei bravo nel lavoro, sarai sfortunato in amore.

Ho scoperto che il giudice più crudele sono sempre e comunque io.

Ho imparato ad assolvermi, a rispettarmi.

 

 

E soprattutto ho imparato ad ascoltarmi. Il mio corpo e il mio spirito continuano a comunicare con un flusso costante di emozioni, informazioni, esperienze.

E la mia nuova me, ha ancora tanta strada da fare, il mio percorso non è finito, ci saranno ancora ponti da saltare, tornanti da attraversare, difficoltà da affrontare, problemi da risolvere.

Ma sono convinta di una cosa. L’importante non è la meta che raggiungerò ma come affronterò il viaggio.



Psicologa Psicoterapeuta Milano

Dott.ssa Daniela Grazioli

Il mio studio si trova a Milano in Via Ximenes, 1
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