Depressione Esistenziale : il male di vivere

Da sempre l’essere umano è afflitto nel corso della sua vita da periodi, più o meno lunghi, di indicibile tristezza. E’ la cosiddetta tristezza esistenziale che poeti e scrittori hanno descritto, i pittori raffigurato, e i filosofi analizzato ed esplorato.

Proviamo a spiegarla anche noi attraverso il punto di vista della psicoanalisi, arricchito dalle osservazioni di Jacques Lacan.

E’ noto a tutti che il bambino alla nascita si trova in una condizione di assoluta impotenza e dipendenza dall’altro per la propria sopravvivenza.
Nasce inoltre in un ambiente geografico e culturale specifico, fatto di leggi, convenzioni, e valori, ai quali si dovrà adattare e fare propri. E’ molto diverso, infatti, rispetto all’adulto che diventeremo, crescere nel mondo arabo piuttosto che in America.

Alla dipendenza dall’altro per la sopravvivenza e al condizionamento della cultura in cui si nasce, si deve aggiungere una terza e fondamentale dipendenza: la dipendenza dal complesso di aspettative, speranze, paure, desideri, pensieri che da prima che si venisse al mondo hanno popolato la mente dei propri genitori.

E’ l’incontro con questo “altro”, madre e padre, che fornisce al bambino il materiale per costruire a poco, a poco se stesso come soggetto.

depressione esistenziale milano

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Il bambino dalla madre non prende solo il latte che lo nutre e lo fa crescere, ma assorbe anche il desiderio e l’amore che lei ha per lui, beve anche il suo essere per lei “qualcosa” di prezioso, unico e irripetibile ed è a partire da questo cibo speciale che il bambino comincia a costruire se stesso.

In altre parole, noi fin dalla nascita siamo, esistiamo, nella misura in cui l’altro ci riconosce.
Se questo incontro viene a mancare o è troppo difettoso, il nostro destino ne resterà segnato.

Da subito, dal nostro primo apparire nel mondo, impariamo che tutto ciò che può lenire o soddisfare ogni nostro bisogno o malessere, è nelle mani dell’altro: è l’altro cioè che ha il potere di farci stare bene o male. Queste prime importantissime esperienze coloreranno di sé la nostra vita e le nostre successive relazioni. Dentro ognuno di noi si radicherà il sentimento e la certezza che ogni nostro senso di vuoto o mancanza potrà essere colmato solo dall’altro.

La presenza e l’azione dell’altro sono perciò determinanti nella nostra vita, in altre parole la dipendenza dall’altro è parte integrante della natura dell’uomo e la spinta all’autonomia, all’indipendenza e all’autodeterminazione dell’Io è fortemente contrastata ed umiliata dall’incessante bisogno che abbiamo dell’altro, il quale detiene le chiavi della nostra felicità.

Così, ogni volta, che ci scopriamo e sperimentiamo che il nostro stare bene, che la nostra completezza, dipendono dalla volontà dell’altro, da qualcosa cioè per noi assolutamente incontrollabile, il contraccolpo non possono essere che lo sconforto e l’avvilimento.

L’Io che scopre di non essere in grado di provvedere autonomamente alla propria felicità e soddisfazione si “deprime” di fronte allo strapotere dell’altro nei suoi confronti. E’ questo il dolore e la depressione vissuta per esempio da chi è stato tradito o abbandonato, costretto a scoprire la propria incapacità di “stare bene” senza la presenza dell’altro.

All’opposto, ugualmente fonte di depressione è la scoperta dell’inconsistenza dell’altro, la scoperta cioè che anche l’altro è afflitto dalla nostra stessa mancanza e incompiutezza: perdute le vesti di pienezza e potere di cui lo avevamo rivestito, lo scopriamo fragile e mancante quanto noi.
Non è più colui che può dare un senso alla nostra vita, che all’improvviso si rivela insensata e priva di fondamento.

Ci scopriamo soli al mondo, senza alcuna garanzia e ragione del nostro “essere” e “stare” in questo mondo.

E’ questo il dolore e la depressione che si può incontrare nella fine improvvisa di un amore deludente, nella rivelazione della pochezza di qualcuno che avevamo idealizzato…

E’ insito nella natura umana fare prima o poi esperienza di tale depressione o tristezza esistenziale dovuta o all’eccessiva presenza e strapotere dell’altro, o alla scoperta della sua insignificanza perché mancante e impotente quanto noi. E’ stato il nostro sogno e il nostro desiderio a conferirgli il potere di colmare i nostri vuoti e la nostra mancanza, in realtà è “solo” ed imperfetto come noi.

Di fronte al baratro di solitudine e nullità esistenziale che si svela ai nostri occhi, l’io cade in depressione.

Questa tristezza o depressione esistenziale intrinseca alla natura umana, è seguita dal tempo e dal lavoro del lutto, un tempo e un lavoro cioè dedicato a piangere e accettare la perdita di una parte di se stessi, quella parte che ci faceva sentire grandiosi e onnipotenti , facciamo cioè i conti con la nostra finitezza ed imperfezione.

Al termine di tale lavoro di rielaborazione ed accettazione delle perdite subite, privazione di parte di sé e dell’altro, ci ritroveremo con un Io ridimensionato, meno presuntuoso ed incontentabile, un Io desideroso di inventare nuove soluzioni e cercare nuove opportunità, un Io nuovamente capace di desiderare, non chiuso e incatenato alla perdita patita che giorno dopo giorno si ripete sempre uguale, come accade nella depressione patologica.



Psicologa Psicoterapeuta Milano

Dott.ssa Daniela Grazioli

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