Durante la gravidanza il bambino è tutt’uno col corpo della madre, si nutre e cresce tramite lei, non c’è alcuna separazione tra loro.
La nascita rappresenta la prima grande separazione che il bambino deve affrontare, il suo corpo si separa da quello della madre, e d’ora in avanti tutte le funzioni fisiologiche relative alla sua sopravvivenza e al suo sviluppo si svolgeranno in modo autonomo e indipendente: da solo deve respirare, mangiare, etc…
Nei primi mesi dopo la nascita tuttavia, non c’è alcuna separazione psicologica tra madre e bambino, il bambino cioè non è ancora in grado di percepirsi e di fare esperienza di sé, come di un essere separato dalla madre, in altre parole non ha alcuna coscienza né di avere un “io”, né di avere un proprio corpo separato dalla madre.
L’acquisizione di questa coscienza-conoscenza, insieme a molte altre, sono i compiti evolutivi e le conquiste che ogni bambino deve affrontare nei primi anni di vita.
Sono il cammino che ogni bambino deve percorrere per poter nascere psicologicamente, tale processo è chiamato “separazione-individuazione” ed è stato studiato e descritto in modo puntuale e approfondito da Margaret Mahler.
Due i compiti fondamentali
Per una buona crescita, l’io nel suo sviluppo deve affrontare due compiti fondamentali.
Primo compito
Viene portato avanti nel corso del primo anno di vita e riguarda l’acquisizione sia della consapevolezza che il nostro io ha dei precisi confini fisici e mentali, sia della consapevolezza che c’è una netta separazione e diversità tra il mondo che appartiene al nostro sé, il mondo cioè che vive dentro di noi, e il mondo che non appartiene al nostro sé, cioè il mondo degli “oggetti”, degli altri e della realtà esterna.
In altre parole nel primo anno di vita l’io del bambino deve diventare capace di distinguere ciò che appartiene al dentro di sé da ciò che appartiene al fuori di sé.
Il fallimento di questo compito, cioè la mancata percezione dei confini dell’io e l’incapacità di differenziare il dentro di sé, dal fuori di sé può comportare in seguito lo sviluppo delle psicosi.
Secondo compito
Viene affrontato per la prima volta fra la prima metà del secondo anno di vita e la seconda metà del terzo anno, è poi portato avanti nel corso dell’infanzia e dell’adolescenza e resta soggetto a progressi o regressi anche nella vita adulta.
Questo compito riguarda l’acquisizione della capacità da parte dell’ io di fare una sintesi delle immagini contradditorie, cioè “buone e cattive”, che abbiamo sia di noi stessi, sia delle persone che per noi sono importanti, come i genitori.
In altre parole il compito è quello di capire attraverso l’esperienza, che io non sono solo completamente buono, oppure solo completamente cattivo, ma un po’ l’uno e un po’ l’altro, e così anche la mamma, il papà e in seguito gli altri che incontreremo.
L’io del bambino deve incominciare ad imparare che la mamma che lo sgrida, quella “cattiva”, è la stessa mamma che l’abbraccia, quella “buona”. Deve imparare che c’ è una sola mamma che a volte è “buona”, a volte “cattiva”, e che lui vuole bene a questa mamma anche quando non è quella che lui desidera, allo stesso modo in cui la mamma continua a volere bene a lui anche quando è cattivo.
Se questo avviene, l’immagine, la rappresentazione mentale della mamma che il bambino a poco a poco incomincia a costruirsi sarà una immagine sfaccettata, che via via nel tempo, diventerà sempre più ricca di sfumature e di aspetti anche contrastanti, un’immagine dove il buono e il bello possono convivere con il cattivo e il brutto, senza mettere in discussione il bene che il bambino ha per la mamma, né l’amore che percepisce e sa che la mamma nutre per lui.
Lo stesso processo deve avvenire per le rappresentazioni mentali relative al proprio io e agli altri più significativi.
Il fallimento di questo compito comporta all’inizio dell’età adulta lo sviluppo di una struttura di personalità bordeline.
Persone cioè, che hanno una chiara percezione dei confini del proprio io e sono capaci di distinguere tra mondo interno e mondo esterno, ma che non sono in grado di integrare le rappresentazioni positive con quelle negative che hanno di sé e degli altri. Questa mancata integrazione fa sì che sia loro stessi, sia l’altro, siano percepiti come totalmente buoni o totalmente cattivi.
La mente dei pazienti bordeline è perciò popolata da immagini scisse di se stessi e degli altri, o solo positive o solo negative, immagini che perciò sono cariche di assoluta benevolenza o di odio violento.
E’ chiaro che una situazione del genere ha delle pesanti ripercussioni sui modi di relazionarsi del paziente bordeline che, a causa del mancato processo d’integrazione , stabilisce relazioni caratterizzate o da un’estrema idealizzazione dell’altro o da una svalutazione e disprezzo assoluti.
L’individuo bordeline vive in un mondo diviso in buoni e cattivi, buoni da cui dipende quasi completamente e cattivi che odia senza pietà.
La stessa persona oggi idealizzata e mitizzata, può domani essere vissuta come un persecutore odiato e disprezzato senza alcun rimpianto e spiegazione, perché basta un comportamento indesiderato o una situazione poco chiara per evocare nel paziente bordeline stati d’animo collegati a immagini totalmente cattive.
La stessa cosa avviene nei confronti della percezione che ha di se stesso, per cui oscilla tra immagini di un io onnipotente e grandioso che può e ha diritto a tutto, e immagini di totale impotenza, fragilità e totale dipendenza che lo gettano nella più nera disperazione-
Anche altri aspetti della personalità bordeline, quali la dispersione dell’io, l’incapacità di tollerare l’ansia e di controllare gli impulsi, la difficoltà di sublimazione, l’alternanza di comportamenti rigidi e contradditori, dipendono dalla mancato adempimento di questo compito.
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