“Al fine di preservarsi dai pericoli, l’essere umano è portato a disinvestire energeticamente sul mondo esterno, al fine di proteggere la propria energia e non lasciarsi andare a pulsioni di vita che, inevitabilmente, portano alla morte”. S. Freud

 

Si parla di pulsione securitaria quando si narra di una spinta esagerata verso la conservazione della propria esistenza con il risultato, quasi paradossale, di non viverla.

I giovani di oggi si ritrovano davanti a un futuro molto incerto, la speranza di una possibile realizzazione personale è quasi un miraggio. Devono fare i conti con:

Il nichilismo è molto diffuso in ambito giovanile perché, se manca lo scopo, manca tutto. L’anestetico più immediato per sopprimere la propria angoscia, lo abbiamo detto altre volte, è l’abuso di:

Vivere: cosa accade se manca uno scopo?

Subentrano scenari come l’Hikikomori. Letteralmente significa, tradotto dal giapponese, “stare in disparte, isolarsi”. Potrebbe venire in mente l’effetto capanna di questi tempi, in effetti vi sono molte affinità.

Per Hikikomori si intende tirarsi indietro, come dicono i grandi psicologi e filosofi appunto, dall’investire nella vita. Il fenomeno nasce in Giappone ma purtroppo è esteso un po’ ovunque nel mondo e si riferisce soprattutto alla fascia di popolazione tra i 12 e i 30 anni, ma non esclude gli over 40. E’ un fenomeno prevalentemente maschile ma intacca anche le ragazze; queste persone si isolano in maniera rilevante dalla società, spesso chiudendosi in casa davanti allo schermo di un cellulare. Questo disagio sociale ha purtroppo preso piede anche in Italia e in tanti altri paesi economicamente sviluppati. Qui da noi i dati parlano all’incirca di 100mila casi.

Hikikomori: da dove nasce?

Questo disagio nasce spesso, come molti altri, da dinamiche affettive legate alla famiglia ma può anche essere riferito all’ambiente scolastico. Più ampiamente potremmo dire che è un disagio nei confronti della società in cui non si ripone alcuna fiducia. Il modello tipico di una famiglia disfunzionale che crea giovani con questo tipo di disagio ci riporta genericamente a un padre assente e una madre ingombrante, ma non sono da escludere altre dinamiche. Nell’ambiente scolastico invece questo malessere è spesso legato ad episodi di bullismo. Il rischio è che questo nuovo disagio esistenziale trascini con sé molti altri aspetti che possono mettere in pericolo la propria vita.

 

a cura di Stefania Magnifico

Spesso ci ritroviamo a non aver più voglia di uscire, di avere relazioni sociali, di vivere. Genericamente questi episodi vengono scambiati per lieve depressione o per momenti passeggeri ma, a volte, il problema potrebbe essere serio.

Quando si parla di melanconia?

Se nella persona nevrotica il senso di colpa coincide con un determinato atto, nella persona melanconica la colpa nasce proprio nella stessa esistenza. Questa è grosso modo la differenza sostanziale che caratterizza un semplice nevrotico da una persona affetta da psicosi da melanconia. Vi sono come al solito gesti ed abitudini da non sottovalutare per la diagnosi di un disturbo. Le casistiche come:

se prolungate nel tempo sono sempre sintomatiche. Possono essere passaggi, momenti, ma se la reiterazione è palese, la persona in questione ha bisogno di essere aiutata.

I tempi in cui viviamo facilitano purtroppo questa serie di problematiche e la salute mentale di ognuno è spesso messa a dura prova. Bisogna sempre tener presente che la vita è una spinta verso l’altro e verso un’apertura all’altro intesa come:

Tutto quello che inverte questo sentimento è sintomo che qualcosa non va. Il senso di chiusura, di ritiro appunto dalla vita, cela disturbi inequivocabili. La melanconia è uno dei più drammatici. Il senso della vita è visto come un lutto perpetuo, una continua assenza, da qui un senso di colpa che inizia con la vita stessa. L’isolamento sociale non aiuta, il vissuto virtuale non solo non è sostitutivo ma comporta una vera e propria fuga. Non per niente infatti la dipendenza da internet è ormai annoverata insieme alle altre dipendenze e sono tutte la rappresentazione di una “fuga dalla vita”.

Abbiamo affrontato le tematiche di angoscia e depressione legate al momento sociale che stiamo vivendo a causa dell’epidemia da Covid19. Oggi ci vogliamo focalizzare sui pensieri, quelli ossessivi:

Quando rischiano di diventare una vera e propria patologia?

Abbiamo spiegato che non sempre un sintomo come il riscontro di pensieri ossessivi ricorrenti può essere per forza collegato ad una patologia come ad esempio quella della sindrome ossessivo compulsiva; a volte può trattarsi di un periodo particolare che la persona sta vivendo e che magari, con il giusto aiuto, può risolversi nel breve. Ma cosa accade se alla lunga questi pensieri ossessivi prendono la meglio e, soprattutto: che cosa sono?

Nella sindrome ossessiva questi pensieri sono spesso negativi e associati alla:

paura di ammalarsi

paura di morire

paura di contaminarsi

paura di commettere uccisioni

e via dicendo. Questo momento storico sembra davvero racchiudere l’insieme di tutti questi sintomi che però, ricordiamolo, non possono nascere dal nulla. La sindrome ossessivo compulsiva nasce da lontano, spesso da un trauma subito. Se questo trauma però, magari latente, riesce a riemergere a causa di un evento scatenante, allora potrebbe facilmente dar luogo ad una seria patologia. L’epidemia in corso e le situazioni correlate come quelle del confinamento, sono senza dubbio un asset servito a favore dello scatenarsi di un disturbo. Spesso il trauma che sta alla radice del disturbo ossessivo compulsivo è il vissuto di un abuso di vario genere:

Attraverso dei rituali (compulsioni) il paziente espia il peso delle sue ossessioni, ad esempio:

Alcuni di questi accenni clinici somigliano molto ai comportamenti sconsiderati che spesso le persone assumono da qualche mese a questa parte. Ecco che allora nascono campanelli d’allarme. E’ corretto seguire igiene e prevenzione ma attenzione a non oltrepassare la linea di confine della normalità e del senso logico.

La pulizia e l’igiene personale devono essere curate, soprattutto durante un’epidemia, in maniera equilibrata senza esagerazioni di sorta. (Abusare di detergenti chimici potrebbe anche causare seri danni alla pelle). Non ultimo, è importante mantenere una buona igiene mentale e psicologica: non siate tra coloro che abusano della lettura di notizie negative che non servono a far rinascere l’uomo e la società.

 

192432306-c122b1f5-1748-4547-aa94-db725f408535Salute: boom di internet-dipendenti, cosi’ ci si cura in Italia

Restano incollati allo schermo per ore, fino a perdere il controllo della loro mente. Rapiti dalla Rete, condannati a navigare ininterrottamente nel ‘mare magnum’ di Internet, saltando da un sito all’altro senza riposo.

 

 

Sono i cyber-dipendenti: adolescenti drogati di web che non staccano gli occhi dal computer e finiscono per preferire il mondo virtuale a quello reale.

 

Una forma di “dipendenza comportamentale” (non legata a sostanze) in netta crescita in Italia, avvertono gli esperti. Tanto che gli scienziati si stanno organizzando per fronteggiare l’ondata di pazienti.

Sono tre i centri di riferimento della Penisola, che studiano il fenomeno della ‘Internet addiction’ e sono all’avanguardia sul fronte delle terapie: il Dipartimento di Neuroscienze cliniche dell’università di Palermo, il Policlinico Gemelli di Roma e l’università D’Annunzio di Chieti.

 

“Quello che ancora non esiste sono cliniche di disintossicazione ad hoc” per cyber-dipendenti, spiega all’ADNKRONOS SALUTE Massimo Di Giannantonio, ordinario di psichiatria all’università D’Annunzio di Chieti.

In Italia, sottolinea lo specialista, il fenomeno dei teenager Internet-dipendenti è ancora poco conosciuto, ma nelle corsie delle cliniche di psichiatria di molti ospedali italiani si vedono sempre più spesso casi di giovani ‘risucchiati’ dal web.A Milano, conferma Claudio Mencacci, primario di psichiatria all’ospedale Fatebenefratelli, “ne abbiamo in cura un paio.

 

E cominciano a vedersi anche casi di isolamento grave” dalla realtà. “Con sintomi simili alla cosiddetta sindrome di Hikikomori, fenomeno giapponese”. Adolescenti che, all’improvviso, tagliano i ponti con il mondo, si barricano in camera e si astraggono dalla realtà anche per anni. Niente più scuola, uscite con gli amici, chiacchierate in famiglia. Unico chiodo fisso: la Rete, o un videogioco.

 

Una malattia che porta con sé alterazioni del ritmo sonno-veglia e totale limitazione dei contatti interpersonali. “Sono ragazzi che si nutrono solo di relazioni virtuali e si rifiutano di interagire fisicamente con persone in carne ed ossa”, racconta Mencacci. Prigionieri del web difficili da curare. E’ questa la versione occidentale della sindrome del Sol Levante. Età media degli ‘addicted’: dai 16 ai 24 anni.

 

I tre gruppi di lavoro che in Italia si occupano di nuove dipendenze, coordinati dagli psichiatri Massimo Di Giannantonio (Chieti), Luigi Janiri (Roma) e Daniele La Barbera (Palermo), hanno visitato, nell’ambito di uno studio, oltre 100 mila ragazzi fra i 15 e i 21 anni. “Di questi il 3,7% ha mostrato una forma grave di ‘dipendenza comportamentale'”, spiega Di Giannantonio. Ma al momento, precisa, “non esistono dati epidemiologici sicuri che permettano di stimare l’incidenza della dipendenza da Salute: boom di internet-dipendenti, così ci si cura in Italia
Tre sono i centri in Italia che si occupano della “Internet addiction”, a Palermo, Chieti e Roma. I cyber-dipendenti sempre più in aumento, sono adolescenti tra i 15 e i 24 anni che, all’improvviso tagliano i ponti col mondo, si barricano in camera e si astraggono dalla realtà anche per anni . Unico chiodo fisso la Rete o un videogioco.

 

Quello che gli esperti stanno osservando è l’aumento di dipendenze comportamentali fra i giovani: “Dipendenza dal gioco d’azzardo, da Internet, dallo shopping”, elenca lo specialista. Uno studio dell’università di Chieti, finanziato dal ministero della Salute, punta a far luce sul grado di diffusione di queste patologie fra gli adolescenti delle scuole superiori, ritenuti le ‘vittime ideali’ di disturbi come la cosiddetta ‘dipendenza transdissociativa da videoterminale’.

Fra i progetti in cantiere in Italia c’è anche l’idea di creare cliniche ad hoc per il trattamento delle nuove ‘droghe’ dei teenager. L’idea è di riservare posti letto in day- hospital a questa tipologia di pazienti. Obiettivo: garantire loro percorsi di riabilitazione efficaci, dalla psicoterapia alle cure farmacologiche.

dipendenze da internet Milano

Dipendenze da internet Milano

Le forme di dipendenza da Internet sono in aumento e destano un notevole allarme sociale: si rifiuta la vita socio-relazionale e ci si isola da tutto. L’unica forma di comunicazione avviene mediante l’utilizzo di dispositivi elettronici.
Quando ti svegli la notte per controllare l’e-mail, quando si rompe il computer e quasi impazzisci, quando non ti va più di uscire di casa perchè vuoi stare davanti al computer… a questo punto forse è arrivato il momento di farsi curare, perché quelli sopra descritti sono i sintomi dell’Internet Addiction Disorder, ossia del Disturbo dipendenza da internet.

Un po’ di storia

L’espressione IAD, Internet Addiction Disorder, viene introdotta nel 1995 dal dottor Ivan Goldberg, psichiatra americano, il quale, con la parola addiction, si riferiva ad una dipendenza patologica, ossia ad una ricerca reiterata di una forma di piacere che crea disagio per dipendenza. Il dottor Ivan Goldberg riteneva che l’errato uso di Internet causasse danni clinicamente significativi.
In Italia si è iniziato a parlare di dipendenza da Internet nel 1997, quando è stata introdotta l’espressione IRP, Internet Related Psychopathology, che il Dottor Tonino Cantelmi definisce come una serie di disturbi che appartengono ad una più ampia categoria di patologie. Tra questi disturbi, ricordiamo la dipendenza dal gioco d’azzardo on-line, la dipendenza da cyber-relazioni e la dipendenza da una quantità eccessiva di informazioni.
Cantelmi segnala due tappe del percorso che conduce alla Rete-dipendenza:
Fase Tossicofila: è caratterizzata dall’aumento delle ore di collegamento ad Internet, con conseguente perdita di ore di sonno, controlli ripetuti di e-mail e siti preferiti, elevata frequenza di chat e gruppi di discussione, idee e fantasie ricorrenti su Internet quando si è off-line;
Fase Tossicomanica: ad essa sono riconducibili collegamenti ad Internet estremamente prolungati, al punto da mettere a rischio la propria vita sociale, affettiva, relazionale, lavorativa o di studio.

Predisposizione

I soggetti a rischio hanno un’età compresa tra i 15 e i 40 anni, hanno una buona conoscenza dell’informatica, spesso sono isolati per ragioni lavorative (es. turni notturni di lavoro) o geografiche e solitamente presentano problemi psicologici, psichiatrici o familiari preesistenti alla Rete-dipendenza (tra questi problemi spiccano solitudine, insoddisfazione nel matrimonio, stress collegato al lavoro, depressione, problemi finanziari, insicurezza dovuta all’aspetto fisico, ansia, lotta per uscire da altre dipendenze, vita sociale limitata, etc…)

Sintomatologia

I sintomi più frequenti: ansia, insonnia, depressione, alterazione del ritmo sonno-veglia, distorsione del tempo, alterata percezione di se stessi, disturbi della personalità, riduzione della capacità di relazione e del contatto con la realtà, la sfera affettiva e il lavoro, perdita della capacità di limitare il tempo trascorso in Rete, a danno di ogni altro impegno.
Tre fondamentali componenti della dipendenza da Internet
Tolleranza:
Aumento significativo del tempo trascorso in Internet per ottenere soddisfazione;
Riduzione significativa degli effetti derivanti dall’uso continuo delle medesime quantità di tempo trascorso in Internet.
Astinenza:
• Agitazione psicomotoria;
• Ansia;
• Pensieri ossessivi focalizzati su cosa sta succedendo in Internet;
• Fantasie e sogni su Internet
• Movimenti volontari e involontari di typing con le dita.
Craving o smania:
Accesso a Internet sempre più frequente o per periodi di tempo più prolungati rispetto all’intenzione iniziale;
Desiderio persistente o sforzo infruttuoso di interrompere o tenere sotto controllo l’uso di Internet;
Dispendio della maggior parte del proprio tempo in attività correlate all’uso di Internet (acquisto di libri on-line, ricerca di nuovi siti, organizzazione di file, etc…) ;
Deprivazione di sonno, difficoltà coniugali, ritardo agli appuntamenti, trascuratezza nei confronti dei propri doveri occupazionali, sensazione di abbandono da parte dei propri cari.
Questi tratti, propriamente tipici della tossicodipendenza, dell’alcolismo, del gioco d’azzardo patologico (GAP), dell’attività sessuale maniacale e dell’anoressia, sono oggi riconoscibili anche in quei soggetti che fanno un uso eccessivo di Internet, per soddisfare, sul piano virtuale, quello che non riescono ad ottenere sul piano della realtà. Chi è affetto da tale forma di psicopatologia tende a percepire il mondo reale come un vero e proprio impedimento all’esercizio della propria onnipotenza, che sperimentano con immenso piacere nel mondo virtuale.
I soggetti che utilizzano la rete, oltre a non percepire l’ammontare di ore già trascorse davanti al monitor, tendono ad adirarsi facilmente con chi li distoglie dal loro “viaggio”; situazione, quest’ultima, che può essere paragonata alla risposta che un alcolista dà ad un amico trovandosi ad una festa: “soltanto un bicchierino!”, o a quella del fumatore che dice a se stesso “solo un’ultima sigaretta e andrò a dormire!”; lo stesso processo mentale viene messo in atto dai dipendenti da Internet, che risponderanno irritati, a chi gli chiede di disconnettersi, “ancora un minuto e spengo!”, oppure diranno a se stessi, razionalizzando, “un altro minuto non farà molta differenza…”, mentre invece rimarranno connessi ancora per ore e ore.
Tuttavia, a mio modesto avviso, Internet non è né alcool, né nicotina, pertanto, una volta compreso come tutto ciò possa trasformarsi in una grande perdita di tempo, dovrebbe essere possibile controllare l’utilizzo del computer e ritornare ad attività più produttive.
Hikikomori: l’ossessione degli “isolati”

Il termine hikikomori ha origini nipponiche e letteralmente significa ” isolarsi”, “rannicchiarsi in se stessi”, “stare in disparte”. Sembra il nome di un uragano o di una qualche calamità naturale, ma l’hikikomori non è niente di tutto questo, sebbene gli effetti che esso produce siano metaforicamente paragonabili a quelli di uno tsunami.
L’accezione sta ad indicare un fenomeno comportamentale piuttosto inquietante, che induce giovani e adolescenti (prevalentemente di sesso maschile) a rifiutare la vita pubblica e le relazioni interpersonali, per rifugiarsi tra le quattro mura domestiche. Unico contatto con il mondo esterno: l’utilizzo di dispositivi elettronici (TV, cellulare, PC, videogiochi…), che filtrano una realtà solo virtuale.
Per la precisione, il termine hikikomori si riferisce sia alla patologia sopra descritta, sia alle vittime di tale fenomeno.
L’hikikomori nasce nel Giappone contemporaneo, realtà in cui il livello di avanzamento tecnologico non ha eguali. C’era da aspettarselo… la tecnologia e l’informatizzazione hanno anche un lato oscuro!
Tuttavia, il fenomeno, spauracchio del Ministero Sanità giapponese, è oramai dilagato ovunque regni il progresso tecnologico. Gli hikikomori made in Italy formano un esercito ben nutrito e i racconti degli ex “isolati” sono davvero disarmanti: si abbandona la scuola, il lavoro, la vita sociale, e si vive davanti ad uno schermo.
Pause saltuarie, giusto per dormire e sbocconcellare un panino (spesso in solitudine, quasi sempre davanti a quel monitor, da cui non si vorrebbero mai staccare gli occhi). Non si riesce a smettere di pensare a quello che è accaduto on-line. Si cerca sempre un PC per connettersi ad Internet, droga virtuale senza paragoni. Una dipendenza in senso stretto, dunque.
Si evade dalla realtà a causa di fallimenti scolastici o lavorativi, delusioni sentimentali e, più in generale, eventi che causano, nei soggetti in questione, senso di inadeguatezza e difficoltà nelle relazioni sociali.
Grazie ad Internet, coloro che nella vita reale si sentono falliti o inadeguati possono costruirsi una vita parallela, nella quale tutto è più piacevole. Ciò accade prevalentemente nei giochi di ruolo on-line, ma anche nelle chat.
Per meglio comprendere l’angosciosa esistenza degli hikikomori, vi consiglio la visione del film “Ao no to”, “La torre blu” (anno 2000). “Blu” che, nella lingua inglese (blue), non indica solo il colore azzurro o turchino, ma anche uno stato psicologico di malinconia e depressione.
Il regista Katsumi Sakaguchi ha avuto la brillante idea di affidare il ruolo dell’attore protagonista ad un vero ex hikikomori. Egli è Yusuke Nakamura, che nel film (come nella sua trascorsa vita reale) si rinchiude a chiave nella sua stanza, lasciando fuori l’intero universo.
E tutto ciò, tra le mille apprensioni di una madre, che vede il figlio consumarsi nel dramma di una paradossale forma di dipendenza.

Vedi anche: le dipendenze tecnologiche

Psicologa Psicoterapeuta Milano

Dott.ssa Daniela Grazioli

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