Ricordi d’amore e di dolore

Il racconto di un paziente

 

figlia+malataProprio oggi, strano a dirsi, è apparso all’improvviso come un flash la memoria vivida e palpabile dei tuoi ultimi istanti di vita quando, nel letto che ti era stato assegnato da poco più di due ore nell’unità coronaria di quel grande ospedale di Niguarda dove a sirene spiegate eravamo giunti con l’unica speranza che lì potessero metterci una pezza, in preda a quell’infarto mostruoso e devastante che doveva portarti via per sempre da me e da noi, ti rivolgesti a papà per salutarlo e per tranquillizzarlo avendo come unico desiderio che lui, un tempo, prima di te, sofferente di cuore, non si preoccupasse troppo.
Così, con queste tue ultime parole e sollecitazioni, uscì da quella stanza, si lasciò richiudere la porta alle sue spalle. Dopo poco saresti arrivata tu, esanime, coperta solo da un lenzuolo bianco.
Mi chiedo sai, dopo che è passato così tanto tempo e fa effetto se ci ripenso perché è un quarto di secolo, se quello era stato il tuo ennesimo atto d’amore o se davi così poco valore alla tua vita da non permetterti neppure per una volta sola e l’ultima, di pensare a te.
Mi chiedo anche fino a che punto avevi in dispregio la tua vita, fino a che punto non ti consideravi o fino a che punto avevi abdicato la mancata risposta di soddisfazione per il tuo animo assetato d’affetto e di calore ad una malintesa profferta d’amore verso il prossimo. Ripensandoci, infatti, non sempre c’era dolcezza nel tuo dare non c’erano abbandono e ricerca di piacevolezza ma infinito bisogno di riscaldare e di placare un cuore in costante tumulto.

 

 

Ricordo che durante la mia infanzia avevo ascoltato con interesse i racconti della tua vita e avevo sentito su di me le tue sofferenze provate e avrei dato me stessa per risarcirti ma, accanto alle profonde ferite che mi apparivano sempre aperte e sanguinanti tu mostravi una reattività straordinaria, una caparbietà ed un orgoglio che mi affascinavano.
C’era forza nelle tue parole, c’erano anche molta rabbia e risentimento ed un immenso bisogno di essere valorizzata e secondo te nessuno della tua famiglia d’origine e di quella nuova lo faceva e questo mi addolorava e rafforzava ogni volta di più la mia promessa di essere per te l’elemento della rinascita e della soddisfazione.

 

 

Ti avevo idealizzato, soprattutto avevo enfatizzato l’aspetto esteriore del tuo amare che era fatto sì di gesti aperti di attenzione, di dialogo, di comprensione, di calore e spesso di donazione senza riserve fino all’eccesso e alla mancanza di rispetto di sé ma anche di enormi rigidità, di sottili pretese, di grande scontento e di inarrivabile appagamento.

 

 

Io, però, avevo notato solo gli aspetti di forza e di valore che a mio dire erano gli unici a contraddistinguerti e a delinearti come perfetta ai miei occhi di figlia innamorata. Così ti ho interiorizzata e ti ho cullata senza permettermi di venire meno ad una sorta di tacito patto che tu non mi avevi mai chiesto ma che io avevo silenziosamente, autonomamente e orgogliosamente sottoscritto.

 

 

Rappresentavi per me un modello irraggiungibile e malgrado gli sforzi di imitarti mi trovavo sempre piccola e perdente. Non ce la facevo mai, per quanto impegno mettessi nell’accontentare i tuoi desideri mi vedevo così poco all’altezza del compito e questo mi procurava frustrazione che faceva aumentare la mia ammirazione per te.

 

 

Sono cresciuta con questa tua immagine che mi ha condizionato, forgiato il carattere e diretto i pensieri. Ho sempre creduto che ci fosse un solo modo di stare con gli altri, quello che avevo visto realizzare da te ed era rappresentato da gesti e comportamenti oblativi fino al punto di trascurarsi ed annullarsi.
Ho sempre pensato che non fosse cristiano rivolgere uno sguardo accettante ed amorevole a sé perché sarebbe stato distogliere attenzioni ed energie all’altro più bisognoso e quindi colpevole e ho altresì creduto il vivere quotidiano un sacrificio costante e mai abbastanza grande e compiuto. C’era in me quella smania di perfezione che mi ha accompagnato per lunghissimi anni ed un profondo senso di inadeguatezza che mi faceva sentire fragile ed inferiore a tutti.



Psicologa Psicoterapeuta Milano

Dott.ssa Daniela Grazioli

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