Perché gli uomini non capiscono le donne

Da dove vengono la paura delle donne e l’odio che spinge uomini sempre più insicuri a perseguitarle e ucciderle? Forse dalla paura dell’Altro in senso lato, del doppio, insomma della dimensione duale della realtà? Scrive S. Agacinski: “L’androcentrismo obbedisce a una paura metafisica della divisione. Il pensiero occidentale sente la nostalgia dell’uno. L’uno è il riposo del pensiero, in esso si può sostare. La divisione è al contrario una struttura che apre: il due è lo scarto, la faglia, la fatalità dell’intermedio e quella della combinazione”. Ecco, la donna si colloca su quella faglia. In quanto potenzialmente madre, è il simbolo vivente di una dimensione duale. Tutti siamo nati da una donna, ma per il maschio riconoscere ciò è dirompente, in quanto la donna per lui rappresenta l’Altro da sé, tutto ciò da cui si deve differenziare per dimostrarsi uomo. Ecco che uomini insicuri, cresciuti all’ombra di valori sociali e familiari attinenti al potere e al possesso, cercano di esercitare a loro volta un controllo ossessivo verso i soggetti ritenuti più deboli. E sono le donne i soggetti ideali per questi uomini, che nutrono verso di loro un’antica paura e che non esitano ad aggredirle e ucciderle, quando mostrano di non accettare tale sopraffazione. Quando si parla in generale dell’uomo e della donna si fanno osservazioni al limite dell’insignificanza, perché, come ci ha insegnato Kierkegaard, a differenza del mondo animale, nel mondo umano l’individuo conta di più del genere. C’è infatti donna e donna così come c’è uomo e uomo. C’è però una linea di tendenza o una sorta di frequenza che ci consente di dire che, a differenza del maschio, la donna, come lei ricorda, è biologicamente e psicologicamente “due”, nel senso che il suo corpo, sia che generi sia che non generi, è fatto per l’altro, e la sua psiche si configura nella forma della relazione, per cui anche la sua sessualità, a differenza di quella maschile, trova la sua espressione a partire dalla relazione. A sentire poi gli antropologi, la donna ha il potere di vita e di morte, l’equivalente del potere del re. E se dal re dipende il controllo delle risorse per il sostentamento della sua tribù, questo controllo non può non estendersi sulla donna, da cui dipende il potere di riproduzione che non deve oltrepassare le risorse disponibili. Secondo alcuni a questo controllo è da ricondurre persino quella pratica medioevale dello ius primae noctis, che non aveva tanto una valenza sessuale, quanto quella simbolica di controllare il potere generativo della donna. Se poi prescindiamo da queste considerazioni generali, che comunque sono stratificate nella psiche inconscia degli uomini e delle donne, per considerare la violenza fisica o psicologica del maschio sulla donna, così frequente anche quando non si arriva all’omicidio nel recinto chiuso delle pareti domestiche, ciò dipende dal fatto che la psiche maschile è di una povertà disarmante, dovuta al fatto che non ha quasi mai in vista l’altro da sé, ma solo l’affermazione di sé. Non confrontandosi mai con l’altro, che sfugge persino alla loro percezione, i maschi tendono prevalentemente a vedere i loro bisogni, i loro desideri, le loro aspirazioni, e a concepire il massimamente altro da sé, che è la donna, sul modello di quella prima donna che hanno conosciuto: la madre che, come lei opportunamente sottolinea, incondizionatamente accudiva, curava, soddisfaceva. Questa povertà psichica dei maschi non consente loro di elaborare i conflitti e, non conoscendo minimamente la loro parte femminile, che potrebbe consentir loro di capire chi è una donna, passano all’atto, che è lo scatenamento della loro forza fisica al pari degli animali. Quando invece sono forniti di buone maniere, usano quelle torture psicologiche che la loro razionalità, disgiunta dal loro cuore atrofico, intreccia con un cinismo freddo, che fa sentire la donna colpevole e loro forniti di buone ragioni. Così autoassolti ai loro occhi, ancora non capiscono che nei rapporti d’amore non sono le buone ragioni, ma la forza e l’ampiezza del sentimento a far comprendere le esigenze, quando non le sofferenze, dell’altro. Ma per questo è necessario che l’altro sia davvero concepito come “altro”, e non come cosa propria di cui si può disporre a piacimento. Nell’evoluzione della specie il percorso di emancipazione dei maschi è ancora lungo, e non è facilitato se l’emancipazione femminile segue percorsi maschili.



Psicologa Psicoterapeuta Milano

Dott.ssa Daniela Grazioli

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